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Sanremo 2022: Checco Zalone bene, ma non benissimo

Carlo Amatetti • feb 03, 2022

Zalone si fiorellizza e fa da mattatore nella seconda serata sanremese. Il risultato? Scopriamolo assieme.

Annunciato dal palco, Checco Zalone fa invece capolino dalle poltrone della galleria: “Parto da qui perché questa è la mia gente, la gente vera, e voglio partire da qui, umiltà, Amadeus, voglio partire con loro, perché amo il popolino”. Il Checco nazionale parte da par suo e, raggiunto infine Amadeus sul palco, subito viene raggiunto dal virus della commozione che ha colpito quasi tutti finora: “mi sento un Maneskin”


Dopo essersi preso ripetutamente gioco di Amadeus (“Vengo da un piccolo paese, da Capurzo. Mi merito tutto questo? Poi vedo te e dico ‘sì, me lo merito’. Grazie, perché ci fai sentire tutti geni”), Checco Zalone comincia piano piano ad arrampicarsi verso gli obiettivi veri della sua satira scelti per la serata. E qui il terreno si fa scivoloso. Proprio perché il suo personaggio (e i suoi personaggi) sono portatori sani dei peggiori difetti di noi italiani, la sua comicità gioca proprio sull’apparente indistinguibilità tra le sue opinioni personali e quelle del suo “personaggio”. Quando fa parlare una sua caratterizzazione, il gioco parte in discesa, ma l’asticella si alza quando il gioco comico parte dallo Zalone senza maschera e qui c’è un solo metro per stabilire se il gioco ha funzionato o meno: ha fatto ridere? La risposta sarà inevitabilmente soggettiva.

Il primo bersaglio di Zalone è il sessismo e la prima stilettata spiazza, ma colpisce il bersaglio (il pubblico, grazie alle mascherine, non è chiaro come reagisca): “tra le conduttrici manca però una scema, l’italiano medio ci è rimasto male”. La seconda ha bisogno di un po’ troppa dietrologia, riferendosi alla gaffe dello scorso anno con cui il direttore artistico aveva definito la fidanzata di Valentino Rossi una donna in grado di “fare un passo indietro”: “un giorno Amadeus capirà che la donna può stare un passo in avanti, ma è un uomo di un’altra epoca…”.


L’appunto che segue, lo ammetto, suona un po’ vintage e perbenista, ma non mi trattengo: il vero difetto della performance di Zalone è la scelta della successione dei tre sketch, che a mio parere andava invertita integralmente. Lo sketch più innocuo, come tema e linguaggio, è stato relegato in tarda serata, quello più provocatorio è stato messo per primo. Ora, bene tutto, ma sulla TV pubblica un minimo di attenzione al linguaggio nello spettacolo nazionalpopolare per eccellenza in un orario ancora a rischio della presenza davanti alla TV dei ragazzini me lo aspetto (poco, ma me lo aspetto). In questo senso piazzare per prima la storia LGBTQ in salsa calabra, con Amadeus come co-voce narrante al leggio, non è apparsa felicissima soprattutto perché, nonostante alcuni spunti gustosi, la versione trans di Cenerentola è mediamente greve, con pochi veri momenti davvero divertenti. La regola aurea è, infatti, sempre la stessa: più si alza l’asticella, più serve far ridere. Se non ci si riesce e oltretutto lo si fa con un linguaggio inadeguato per la TV pubblica (ancora) di prima serata, non è un buon risultato, al netto dell’ormai acritico incensamento che ormai accompagna ogni performance televisiva del comico pugliese (generosità che paradossalmente, e incredibilmente, non sempre la critica riserva ai suoi film… !).

Da lì in poi, gli sketch si fanno invece più riusciti e divertenti. Al secondo giro, Zalone veste i panni del trapper “Ràgadi” che, con tanto di cuscino a ciambella, canta i dolori di un “Poco ricco”, di chi “ha la Playstation 2 quando già c’era la 3”, o ha “la madre devastata perché in casa ha una sola filippina”, o “un padre eccezionale che va a puttane dentro il Bosco verticale”.

Ma forse lo sketch più divertente è quello che ha avuto il pubblico rarefatto, verosimilmente falcidiato dalla noia di una serata con troppe divagazioni e poca musica. Per i più resistenti ecco Checco tornare sul palco vestendo i panni del virologo “cugino illegittimo” di Al Bano. “Siete d’accordo su qualcosa (voi virologi,ndr)?”, gli chiede Amadeus. La risposta è quasi d’obbligo: “Siamo d’accordo sul fatto che non abbiamo capito un c...o”. Poi il virologo Zalone chiude intonando “Pandemia ora che vai via” con versi come “La curva è andata giù, sta per finire il sogno. Nessuno si spaventa più manco a Codogno”, o “Pandemia ora che vai via che ci faccio con la rosolia? Se te ne vai via, lavo i piatti in pizzeria”, mentre in chiusura sul maxischermo 4 dei virologi più popolari gli fanno da coro in stile Bohemian Rapsody.


Così si chiude in crescendo l’incursione di Checco in quel di Sanremo. Una buona serata, per carità, ma piuttosto lontana dai toni trionfalistici della critica che ormai ha benignizzato pure Checco, non facendogli affatto un favore.

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Un viaggio nella vita dei giganti della comicità mondiale, sempre in bilico tra divertimento e tragedia. Carlo Amatetti, editore di Sagoma, porta in un podcast l'universo comico che finora ha portato su carta con l'obiettivo sempre di preservare la memoria dei grandi comici mondiale e dimostrare come anche il linguaggio comico debba far parte della Cultura con la "C" maiuscola.
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