Moschin, l’ultimo degli zingari

Andrea Ciaffaroni • 5 settembre 2017

2017 nefasto: Gastone Moschin se n’è andato ieri, all’età di 88 anni.
Se n’è andato l’ultimo degli zingari.

Cominciamo subito col dire che il dispiacere è doppio : il primo è ovviamente la perdita di un grandissimo attore totale, che ha spaziato fra commedia e dramma nel teatro, cinema e televisione; il secondo è più una riflessione amara perché Moschin ha dato al cinema più di quello che ha ricevuto , e sottovalutato più dai produttori che dalla critica, bisogna ammettere che gli è stata tolta l’occasione di essere un protagonista assoluto, salvo eccezioni che ricorderemo. L’unica certezza è che spesso ha centrato il personaggio, pur se da caratterista, e che come pochi attori della sua generazione – primo nome che mi viene in mente? Mario Adorf – la sua presenza garantiva un cinema di qualità . In due parole: con lui, non si sbagliava mai.

Vero, rimarrà nella memoria collettiva il personaggio dell’ architetto Melandri , l’amico “zingaro” degli “ Amici miei ” (1975) di Mario Monicelli, assieme a Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Dullio Del Prete (poi sostituito da Renzo Montagnani) e Adolfo Celi. Di tutti loro, Moschin interpreta il personaggio più romantico ed elegante, ma anche capace di sofferte ribellioni morali.
Verissimo, altro personaggio straordinario era il ragionier Osvaldo Bisigato del film “ Signore & Signori ” (1966) di Pietro Germi, un altro inguaribile romantico che soffre per una moglie oppressiva e tenta la svolta scappando con una bella cassiera (interpretata da Virna Lisi: avremmo potuto biasimarlo?).

Sono i due ruoli che gli hanno dato l’ immortalità . Ma Moschin è stato anche altro, e il suo contributo alla commedia è stato davvero fondamentale.

Nato a San Giovanni Lupatoto (VR) nel 1929, si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica negli anni Cinquanta, ed a seguire lavorò nel Teatro Stabile di Genova ed al Piccolo Teatro di Milano. La prima commedia che interpreta è accanto a Nino Manfredi ne “L’audace colpo dei soliti ignoti” (1959), seguito sempre con Nino nel film “Gli anni ruggenti” (1962), di Zampa, “La rimpatriata” (1963), “La visita” (1963), è poi Adolf, il tedesco del film “Sette uomini d’oro” (1965), grande successo al botteghino, il già citato “Signore & Signori” di Germi, “Italian Secret Service” (1968) di Luigi Comencini, “Sissignore” di e con Ugo Tognazzi, “Dove vai tutta nuda?” (1969), di Pasquale Festa Campanile. Negli anni ’70 dimostra una poliedricità unica, passando a ruoli comici come il Melandri di “Amici miei” ma anche a volti drammatici e spietati come Ugo Piazza dal film “Milano calibro 9” (1972), di Fernando Di Leo, Filippo Turati ne “Il delitto Matteotti”, di Vancini, persino Francis Ford Coppola lo chiama per il ruolo di Don Fanucci ne “Il padrino – Parte II” (1974), o il celebre ruolo del Marsigliese nel film “Squadra volante”, di Stelvio Massi.

Che interpretasse una vittima o il carnefice, Moschin riusciva ad essere un grande, senza invidiare agli altri grandi, ma da protagonista aveva bisogno di una storia adatta alla sua figura, e non sempre è andata bene. Ne “La moglie giapponese”, di Gian Luigi Polidoro, lo serve Rodolfo Sonego per un copione pensato per Alberto Sordi, mentre in “Don Camillo e i giovani d’oggi” (1972), di Comencini, rimpiazza il compianto Fernandel, dove è indubbia la bravura ma incerta la riuscita.

Nei lavori collettivi, invece, spiccava totalmente: fu ottimo in due film di Michele Lupo, “Sette volte sette” (1969), e “Concerto per pistola solista” (1970), che danno l’impressione che Moschin doveva essere una presenza fissa fra indagini e rapine organizzate in grande stile che finiscono bene, ma non benissimo (come dimostra la saga dei Sette uomini d’oro).

Una carriera lunga che passò anche in televisione e alternata con il teatro, e il contributo alla commedia si è allentato con gli anni. Quando gli è stato chiesto se in Italia oggi non si può più ridere, ha risposto: “ Un po’ meno. Non mi sembra più un Paese per le zingarate mentre di supercazzole ne vedo ancora tante, ma quelle ci sono sempre state ”.

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Jimmy Kimmel , la voce corrosiva della late night americana, è stato sospeso indefinitamente dal suo show Jimmy Kimmel Live! da ABC . La causa? Una frase pronunciata in monologo in cui ha suggerito (!) che il movimento MAGA stia cercando di capitalizzare politicamente sulla morte di Charlie Kirk, l'attivista conservatore ucciso nei giorni scorsi. La sospensione arriva dopo che gruppi di stazioni affiliate ad ABC, guidati da Nexstar, hanno definito le sue parole “offensive e insensibili” e ne hanno chiesto la messa in onda bloccata. L’incidente è stato accompagnato da minacce regolamentari da parte di Brendan Carr, presidente dell'FCC (la commissione federale delle comunicazioni), che ha fatto capire che le licenze delle stazioni potrebbero essere a rischio se non si conformano a certi standard (o pressione politica percepita). Un tempo erano standard che almeno sulla carta erano stati pensati per garantire la più alta qualità dei programmi televisivi, oggi servono solo per accontentare l'Esecutivo a stelle e strisce. Non a caso, Trump ha festeggiato la decisione, definendola una “ottima notizia per l’America” su TruthSocial. Intanto, l’eco è forte: molti vedono questa sospensione non come un incidente isolato, ma come un nuovo fronte aperto nell’attacco alla libertà di satira. “Nixon fu un dilettante”: il salto qualitativo nel clima politico Quando Richard Nixon cadde nel 1974, lo fece per comportamenti che oggi, messi a confronto con quelli di Trump, sembrano quasi piccoli inciampi. Watergate fu un complotto reale, tentativo di insabbiamento, uso indebito dei poteri investigativi federali, ostruzione del Congresso, rifiuto di cooperare con richieste legittime di documenti. Un solo grande scandalo, con prove materiali e registrazioni audio, sufficienti per spingere il presidente verso le dimissioni. Con Trump, la quantità e la varietà delle controversie sono assai più ampie: tentativi di ribaltamento elettorale, gestione negligente (o peggio) di documenti top secret, scontri giudiziari su vari fronti, insulti e provocazioni continue. E adesso, questo: silenziare i comici scomodi. Non è più solo insabbiamento o bugie, è prevenire la satira stessa , far capire che chi fa ridere troppo... "forte" può essere punito. Chiudere le bocche: la satira come minaccia Con la precedente cancellazione del programma di Stephen Colbert, e ora di quello di Kimmel, emerge un disegno che va oltre il mero disaccordo politico: è un invito implicito al terrore. “Fai battute, ma attento, la prossima volta potresti non avere più il palco”. Trump — come Berlusconi prima in Italia — pare aver individuato nei comici non solo critici ma potenziali pericoli da neutralizzare. La preoccupazione è che negli USA - un tempo il regno della libertà di espressione e di satira - si vada verso una desertificazione come quella registratasi in Italia dopo l'editto bulgaro di Silvio Berluscon. Da quel momento il mainstream si fece più prudente, i comici adottarono direttamente l'autocensura e oggi la satira in TV è virtualmente scomparsa. Qui, oggi, assistiamo a qualcosa di simile: un attacco sistematico ai grandi talk show satirici, uno dopo l’altro, che manda un messaggio chiaro: “vedete di non rompere troppo”. Stephen Colbert era già stato messo sotto pressione: il suo programma è stato infine chiuso dopo le sue continue critiche a Trump. Non un errore isolato, ma un destino annunciato per chi esagera nella satira politica. Con Jimmy Kimmel , il caso è forse ancora più emblematico: gli si contesta la reazione alacre a un fatto tragico (l’assassinio di Kirk), ma il punto vero è che si è rotto un tabù: negli USA si è totalmente sdoganata la possibilità di zittire una voce satirica perché scomoda. Berlusconi lavorava sornione sotto traccia, Trump rivendica le sue epurazioni . Non è una differenza di poco conto. Donald Trump è il tipo che pippa in mezzo al soggiorno durante una festa; tutti hanno la decenza di farlo in bagno ma lui no. Sarah Silverman
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